giovedì 18 dicembre 2008

DALLA G.U. - CORTE COSTITUZIONALE - N. 52 del 17.12.2008

ORDINANZA (Atto di promovimento) 04 settembre 2008 , n. 400 Ordinanza del 4 settembre 2008 emessa dalla Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca contro Poncina Nadia Impiego pubblico - Personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario statale
(A.T.A.) - Trattamento economico - Previsione, con norma di interpretazione autentica, dell'attribuzione del trattamento economico annuo in godimento al 31 dicembre 1999 - Indebita
interferenza sulle controversie pendenti - Violazione dei vincoli derivanti dalla CEDU e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo - Richiamo alla sentenza n. 234/2007 e alla successiva
ordinanza n. 400/2007 ritenute non estensibili alla presente questione per la diversa prospettazione.
- Legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 218.
- Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 6 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.
LA CORTE DI CASSAZIONE
Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso proposto da Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis, ricorrente; Contro Poncina Nadia, domilciliata in Roma presso la cancelleria
della Corte suprema di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Claudio Mondin, Nicola Zampieri, giusta delega in atti, controricorrente, verso la sentenza n. 412/2004 del Tribunale di
Venezia, depositata il 4 giugno 2004 R.G.N. n. 459/2003;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3 giugno 2008 dal consigliere dott. Pasquale Picone;
Udito l'avvocato Sullan per delega Mondin;
Udito il p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott. Marcello Matera che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto Nadia Porcina, con ricorso al Tribunale di Venezia del 27 marzo 2003 ha chiesto, nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca (denominazione attuale, secondo l'organizzazione del Governo disegnata dall'art. 1 d.l. 16 maggio 2008, n. 85), di accertare che, quale appartenente al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (denominato A.T.A.), gia' dipendente di ente locale e passato alle dipendenze dell'amministrazione scolastica statale ai sensi dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, aveva diritto al riconoscimento integrale dell'anzianita' di servizio maturata al tempo del trasferimento del rapporto di lavoro, con la condanna dell'amministrazione statale al pagamento delle conseguenti differenze retributive dal 1 gennaio 2000, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Il giudice adito, con la sentenza di cui si domanda la cassazione, pronunciata all'esito del procedimento previsto dall'art. 64 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, ha accertato «1'invalidita' e la conseguente inefficacia, per contrasto con quanto stabilito dal combinato disposto dell'art. 8, commi 2 e 3, della legge n. 124/1999, della disposizione contenuta nell'art. 3, comma 1, dell'accordo Aran-Rappresentanti delle organizzazioni e confederazioni sindacali in data 20 luglio 2000 recepito nel d.m. 5 aprile 2001».
A giudizio del tribunale, la previsione legislativa, secondo cui a detto personale e' riconosciuta ai fini giuridici ed economici l'anzianita' maturata, obbligava l'amministrazione statale ad applicare, dal 1° gennaio 2000, il c.c.n.l. del comparto scuola al personale trasferito tenendo conto di tutta l'anzianita' maturata alle dipendenze dell'ente locale, cosicche' non era conforme al dettato della fonte primaria l'attuazione datane (mediante accordo collettivo recepito in decreto interministeriale) con il collocamento del detto personale nella fascia stipendiale corrispondente alla retribuzione in godimento al 1° dicembre 1999 (c.d. «maturato economico») e non in quella corrispondente all'effettiva anzianita' di servizio.
Il ricorso per cassazione dell'amministrazione, proposto ai sensi dell'art. 64, comma 3, d.lgs. n. 165/2001, e' articolato in due motivi; resiste con controricorso Nadia Porcina. Entrambe le parti
hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
Considerato in diritto
1. - I due motivi di ricorso, concernenti entrambi l'unica questione controversa, denunciano, violazione dell'art. 8, legge n. 124/1999 e vizio di motivazione, sostenendo che il risultato
dell'interpretazione accolta dalla decisione impugnata si traduceva nel riconoscere un aumento della retribuzione per effetto del mutamento del soggetto datore di lavoro e dell'applicazione di un c.c.n.l. (comparto scuola) che dava rilievo all'anzianita' di servizio ai fini stipendiali (diversamente dal contratto dei comparto enti locali), mentre il legislatore aveva, inteso unicamente garantire la conservazione delle posizioni acquisite, escludendo l'assunzione di oneri economici maggiori di quelli gia' gravanti sugli enti locali. Si afferma, inoltre, che la legge aveva espresso un principio, circa il riconoscimento dell'anzianita', necessitante di essere specificato dalla formazione secondaria, di cui si contemplava l'emanazione, del decreto ministeriale, di recepimento dell'accordo stipulato tra l'Aran e le organizzazioni sindacali, aveva legittimamente disciplinato il sistema di allineamento degli istituti retributivi. del comparto enti locali a quelli del comparto scuola, riconoscendo l'anzianita' pregressa ai fini dell'inquadramento secondo il sistema del maturato economico. Si aggiunge, infine, con argomentazione svolta in via logicamente
subordinata, che l'accordo sindacale 20 luglio 2000, relativo al sistema di inquadramento del personale A.T.A. secondo il criterio del maturato economico, aveva natura di vero e proprio contratto collettivo nazionale di lavoro - come desumibile anche dalle disposizioni contenute nel c.c.n.l. 8 marzo 2002 - ed era percio' abilitato a derogare anche a norme di legge, ai sensi dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Nella memoria, depositata in prossimita' dell'udienza, la ricorrente amministrazione invoca la sopravvenuta interpretazione autentica, della disposizione della quale si denuncia l'errata
interpretazione, ad opera dell'art. 1, comma 218 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
2. - Tanto premesso, la Corte osserva che, effettivamente, l'art. 1, comma 218, legge n. 266/2005, appena citato, dispone: «Il comma 2 dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale e' inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all'atto del trasferimento, con l'attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianita' nonche' da eventuali indennita' ove spettanti, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell'inquadramento.
L'eventuale differenza tra l'importo della posizione stipendiale di inquadramento ed il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale».
La struttura formale della norma appena riportata la qualifica effettivamente come norma d'interpretazione autentica, della quale possiede i requisiti essenziali, riscrivendo una regola destinata ad operare in termini generali per le controversie in corso come per quelle future. L'anzidetto comma 218, infatti, manifesta espressamente l'intento di precisare e chiarire la portata della norma interpretata e si limita ad intervenire, con effetti retroattivi, soltanto su quei suoi profili applicativi che avevano originato un contenzioso cui peraltro questa Corte, nella funzione sua propria, sembrava avviata a dare una risposta passabilmente univoca (v. infra). Ne' pare contestabile che il contenuto normativo della disposizione corrisponda - astrattamente, e non importa qui stabilire con quale grado di persuasivita' - ad uno dei possibili significati ascrivibili alla norma interpretata, posto che, a fronte di una lettura del sintagma «anzianita'. giuridica ed economica» di cui al comma 2 dell'art. 8, legge n. 124 del 1999 coestensiva rispetto al significato letterale dei termini ivi utilizzati, il legislatore del 2005 ha optato per una interpretazione restrittiva.
3. - Dalle considerazioni sopra esposte discende che questa corte dovrebbe fare applicazione, nella presente causa, dello ius superveniens, rappresentato dal ricordato comma 218, e, in forza di esso, accogliere il ricorso modificando le conclusioni cui - nell'attribuzione di senso alla disposizione del secondo comma dell'art. 8, legge n. 124/1999 - era pervenuta, statuendo - sia pure con percorsi argomentativi diversi - che la garanzia del riconoscimento ai fini giuridici, oltreche' economici, dell'anzianita' maturata presso gli enti locali, in favore dei dipendenti coinvolti nel passaggio dai ruoli ditali enti in quelli del personale statale, in quanto apprestata dalla legge, non potesse essere ridotta, in forza di norme di rango inferiore, alla sola garanzia del riconoscimento economico dell'anzianita', e risolversi nell'attribuzione al dipendente del cd. maturato economico, cosi' come disposto nel decreto interministeriale 5 aprile 2001
conformemente ai contenuti dell'Accordo 20 luglio 2000 fra l'ARAN e le OO.SS. (v., tra le tante, cass. nn. 3224/2005, 3356/2005, 4722/2005, 18652/2005, 18829/2005).
Si tratterebbe di un revirement, esplicitamente fondato sull'intervenuta norma interpretativa, cui questa corte peraltro ha gia' messo capo - in applicazione dell'art. 1/218 piu' volte richiamato - con le sentenze nn. 25482/2007, 511/2008, 677/2008.
Peraltro, la controricorrente, nelle memorie depositate prima dell'udienza, deduce, tra le altre difese, una questione di legittimita' costituzionale della norma interpretativa da applicare,
perche' - a suo giudizio - tale norma violerebbe l'obbligo internazionale derivante all'Italia dall'art. 6/1 della Convenzione europea per la protezione dei diritti dell'uomo (di seguito, CEDU),
sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
Trattasi di questione senz'alcun dubbio rilevante nel presente giudizio, perche' investe la norma di legge della quale dovrebbe farsi applicazione per la decisione del ricorso, non apparendo in
contrario configurabile una questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. 234 del trattato CE, per stabilire (come pure richiesto dalla difesa controricorrente) se la fattispecie in esame sia
riconducibile alla direttiva 77/187 Cee, il che comporterebbe per il giudice nazionale l'obbligo di disapplicare la norma interpretativa in ipotesi confliggente con la direttiva, infatti, la vicenda del
trasferimento, in base alla legge n. 124 del 1999, del personale degli enti locali, nei ruoli del personale Ata (amministrativo, tecnico, ausiliario) dello Stato non e' riconducibile al campo di
applicazione delle direttive comunitarie in materia di trasferimento d'azienda (direttiva 77/187/Cee, modificata dalla direttiva 98/50/Ce), giacche', anche in ragione dei principi desumibili dall'interpretazione di dette direttive da parte della giurisprudenza della Corte di giustizia (sent. 26 settembre 2000, in C-175/99; sent. 25 gennaio 2001, in C-172/99; sent. 24 gennaio 2002, in C-5 1/00), essa non si' e' concretata nella assegnazione, preesistente al passaggio di personale, di una attivita' unitariamente considerata, di competenza di un determinato soggetto pubblico, ad altro soggetto:
ipotesi che configura il conferimento o il trasferimento di attivita' cui l'art. 34 del d.lgs. n. 29 del 1993, e successive modificazioni, riconnette, nell'ambito del rapporto di lavoro pubblico,
l'applicazione dell'art. 2112 c.c. Ne consegue che l'art. 1, comma 218, legge n. 266 del 2005, interpretando autenticamente l'art. 8, comma 2, legge n. 124 del 1999, nel senso che, relativamente alla vicenda del trasferimento del suddetto personale Ata, gli effetti dell'anzianita' giuridica sono limitati a quelli che essa abbia eventualmente gia' prodotto nel precedente rapporto, non puo' porsi in contrasto con il diritto comunitario innanzi richiamato; in quanto
disposizione che, appunto regola una fattispecie estranea al suo campo applicativo. Si' che, conclusivamente, non v'e' luogo a formulare il dubbio che dovrebbe essere oggetto di rinvio
pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, comma 3, del trattato Ue. (sul punto v., diffusamente, cass. n. 677/08 cit., in particolare punti 14-30).
4. - L'accertata rilevanza della questione, ne impone lo scrutinio per stabilire se la stessa possa ritenersi «manifestamente infondata» (art. 1, legge cost. n. 1/1948).
Per vero, un tale scrutinio e' stato gia' effettuato da questa Corte (v., in particolare, cass. n. 677/08 cit.) che ha concluso nel senso della manifesta infondatezza della questione. E tuttavia il
dovere di fedelta' ai precedenti non dispensa questa stessa corte dal procedervi anche nella presente causa, non solo e non tanto in ragione di profili o argomenti nuovi addotti dalla parte ma
soprattutto perche' la nomofilachia si atteggia in maniera molto diversa a seconda che la Corte sia chiamata a pronunciarsi sull'esatta osservanza della legge, fornendo l'interpretazione delle
norme sottoposte ai suo esame, ovvero a giudicare manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale afferente ad una di tali norme. Nel primo caso, infatti, si tratta di attribuire un significato alla disposizione di legge con carattere di, sia pure tendenziale (arg. ex aliis dall'art. 374, comma 2 c.p.c.), stabilita'; nel secondo, per contro, si tratta di ritenere o di
escludere come manifestamente infondato soltanto un dubbio; formula, quest'ultima, che fonda per il giudice, anche e soprattutto di ultima istanza, il dovere di sollevare la questione di costituzionalita', tutte le volte in cui - essendo impossibile attribuire alla disposizione scrutinata un significato che ne escluda il possibile contrasto con i precetti costituzionali - per la sussistenza di un siffatto contrasto residui un non implausibile argomento, ancorche' di peso minore rispetto agli argomenti che depongono in senso contrario. E cio' perche', in uno Stato costituzionale di diritto, la certezza del diritto - che e' l'obiettivo cui tende la nomofilachia - e', innanzitutto, certezza che il diritto vivente sia conforme a Costituzione.
Tanto precisato, giova ricordare che la questione proposta a questa corte e', come accennato nel paragrafo che precede, se il piu' volte citato art. 1, comma 218 della legge n. 266/2005 contrasti con l'art. 117/1 della Costituzione per violazione dell'obbligo internazionale assunto dall'Italia con la CEDU, il cui art. 6 comma primo, nel prescrivere il diritto di ogni persona ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente e imparziale, imporrebbe al potere legislativo di' non intromettersi nell'amministrazione della giustizia allo scopo d'influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie.
L'art. 6/1 della CEDU, cosi' come interpretato con specifico riferimento al profilo qui evocato dalla Corte europea di Strasburgo, viene in tal modo a costituire la «fonte interposta» che fornisce
concretezza e contenuto al parametro costituzionale invocato del rispetto degli obblighi internazionali Corte cost. n. 348/2007, in particolare punti 4.5 e 4.6).
Il giudizio di manifesta infondatezza della questione e' stato fondato, dalla cit. Cass. n. 677/2008, sulla sentenza della Corte europea di Strasburgo in causa Scordino c. Italia n. 36813/1997, i
cui paragrafi 78/80 sono stati assunti come esplicativi della fonte interposta, rappresentata dall'art. 6/1 della CEDU nella parte in cui prescrive le condizioni di un giusto processo. Dai citati paragrafi della sentenza Scordino, cass. n. 677/2008 ha ricostruito la fonte interposta in esame siccome prescrittiva, per gli Stati membri della CEDU, di un obbligo di non «esercitare un'ingerenza normativa finalizzata ad ottenere una determinata soluzione delle controversie
in corso», salvo che «l'intervento retroattivo sia giustificato da motivi imperiosi di carattere generale». Sulla base di tale premessa, la stessa Corte ha escluso che l'art. 1/218, legge n. 266/2005 violi l'obbligo come sopra definito poiche'» non vi e' … alcun elemento che induca a ritenere la disposizione nazionale come esclusivamente (grassetto dell'e.) diretta ad influire sulla
soluzione delle controversie in corso)», dovendosi piuttosto ritenere che «… il legislatore abbia dovuto governare una operazione di riassetto organizzativo di ampia portata, sicche' sono palesemente ravvisabili, nel caso di specie, le pressanti ragioni di interesse generale che abilitano … anche interventi retroattivi». Questa, nelle sue linee essenziali, la ratio decidendi che -
unitamente alla considerazione delle differenze correnti tra la presente fattispecie e quella oggetto della sentenza Scordino ed al rilievo che la CEDU non assicura in materia civile l'immutabilita' della regola di giudizio per tutti i procedimenti in corso - ha condotto la corte a ritenere manifestamente infondato il dubbio che la disposizione in esame violii l'obbligo dello Stato italiano di rispettare l'art. 6 CEDU come interpretato dalla corte di Strasburgo.
5. - Il Collegio ritiene, al contrario, che la suesposta ratio decidendi e le considerazioni ulteriori che la sorreggono - pur somministrando argomenti in favore di una determinata soluzione del
dubbio - non valgano tuttavia e ritenerlo manifestamente infondato.
Cio' per le seguenti considerazioni:
a) e' ben vero che la sentenza Scordino ed i precedenti in essa richiamati (v. in particolare sentenza Anagnostopoulos e altri c. Grecia, n. 39374/98 par. 20-21) affermano che il divieto di leggi retroattive riguarda l'ingerenza, del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, finalizzata ad una determinata soluzione delle controversie in corso («dans le but d'influer sur le
denouement judiciaire du litige»), ma e' altrettanto, vero che la suindicata giurisprudenza non richiede anche che la disposizione retroattiva sia «esclusivamente diretta ad influire sulla soluzione delle controversie in corso» ne' che tale scopo venga in qualche modo enunciato, poiche' nei suddetti precedenti la conclusione che l'intervento legislativo volta a volta esaminato costituisse una non consentita ingerenza del potere legislativo sull'esercizio della giurisdizione viene raggiunta sulla scorta, da una parte, dell'esame del risultato che, nel procedimento in relazione al quale viene lamentata l'ingerenza, ha avuto l'applicazione della disposizione
denunciata e, dall'altra, della considerazione che lo Stato legislatore era, al tempo stesso, parte di quel procedimento e la disposizione interpretativa assegnava alla disposizione interpretata
un significato vantaggioso per lo Stato - parte; il che sembrerebbe costituire la ragione che induce a ritenere l'intervento come dettato dalla non consentita finalita'. Ad analoghe conclusioni conduce anche la giurisprudenza piu' recente della corte europea (v., per tutte, sentenza SCM Scanner de l'Ouest et autres c. France, 21 giugno 2007, ricorso n. 12106/03);
b) Entrambe le suddette situazioni ricorrono nel caso in esame, mentre - d'altro canto - il notevole contenzioso svuppatosi subito dopo l'entrata oggetto d'interpretazione autentica, e, in relazione al quale, questa corte ha gia' avuto modo di pronunciarsi piu' volte, nonche' il rilevante numero di ricorsi pendenti aventi ad oggetto proprio l'interpretazione di detta normativa, lasciano ragionevolmente ritenere che la definizione ditale contenzioso nel senso, favorevole allo Stato amministrazione, imposto dalla norma interpretativa, rientrasse certo tra le finalita' perseguite dal legislatore con l'introduzione di quest'ultima norma.
c) Per altro verso, l'esigenza per il legislatore di «governare una operazione di riassetto organizzativo», da un lato, non sembra integrare le «imperiose ragioni d'interesse generale», richieste dalla corte europea come condizione per superare il divieto d'ingerenza; per altro lato, di quell'esigenza - e tanto meno di altre ragioni, imperiose o meno - non e' traccia alcuna nel
procedimento legislativo che ha messo capo al ricordato comma 218 dell'art. 1, legge n. 266/2005; che' anzi tale comma, che non figura nell'originario disegno di legge presentato dal governo, risulta inserito dalla relatrice Santanche' nella seduta della 5ª Commissione
(emendamento 1.4547, comma 149-quater), rimane invariato per decadenza del sub-emendamento Crosetto 1.4547/10, e viene votato nei successivi passaggi, caratterizzati dal voto di fiducia al Governo, senz'alcuna indicazione delle ragioni, imperiose o meno, che lo
sorreggono.
d) Ne' infine, ad escludere la violazione dell'art. 6/1 CEDU da parte della disposizione in esame, puo' valere il rilievo che la Corte di giustizia europea abbia sempre riaffermata la liberta' del
legislatore di emanare norme interpretative che incidano, in materia civile, su diritti attribuiti dalle leggi in vigore, perche' qui non e' in discussione questa liberta' ma piuttosto quella d'intervenire, a mezzo di leggi retroattive, sui giudizi pendenti dei quali sia parte lo Stato amministrazione. Com'e' stato lucidamente precisato da questa stessa Corte nell'ordinanza n. 402/2006, il senso della giurisprudenza della corte europea in materia e' che «la parita'
delle parti dinanzi al giudice implica la necessita' che il potere legislativo non si intrometta nell'amministrazione della giustizia allo scopo d'influire sulla risoluzione della controversia o di una determinata categoria di controversie». Scopo, si e' gia' precisato supra, che la stessa corte europea sembra desumere dall'incidenza oggettiva che la norma denunciata ha sull'esito di controversie pendenti e dalla qualita' di parte dello Stato-amministrazione in tali controversie. Ne' - e' appena il caso di rilevare - la retroattivita' coessenziale alle norme d'interpretazione autentica e' d'ostacolo al rispetto del vincolo in questione, poiche' un tale vincolo esige soltanto che il legislatore escluda dall'ambito di applicazione della norma interpretativa o, piu' in generale, della norma dichiarata retroattiva) i processi in corso alla data di entrata in vigore della norma, secondo uno schema che il legislatore nazionale ben conosce ed ha piu' volte praticato (emblematico, al riguardo, l'art. 6, comma 2, d.l. 29 marzo 1991, n. 103). Scarsamente
comprensibile, poi, appare l'obiezione che un tale modulo provocherebbe un proliferare d'iniziative giudiziarie volto a rendere immodificabile una situazione di vantaggio in ipotesi assicurata dalle norme vigenti: obiezione che sembra postulare uno Stato-legislatore che, in rapporti di cui sia parte come Stato-amministrazione, accordi una situazione di vantaggio per non
adempiere l'obbligazione che su di esso Stato-amministrazionene deriva (il proliferare d'iniziative giudiziarie presuppone appunto l'inadempimento), riservandosi poi d'intervenire con legge
interpretativa.
e) Infine, e' appena il caso di rilevare che la manifesta infondatezza del dubbio di cui sopra non potrebbe esser fondata sulla sentenza n. 234/2007 della corte costituzionale e/o sulla successiva
ordinanza n. 400 della stessa corte, che hanno rispettivamente dichiarato non fondata e manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 218, legge n. 266/2005 con riferimento a parametri di costituzionalita' diversi da quello qui evocato.
6. - Pertanto, ritenuta - in virtu' delle considerazioni sopra svolte - rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 218 della legge n. 266/2005 per violazione deIl'art. 117 della Costituzione in relazione all'art. 6 CEDU come interpretato dalla corte europea dei diritti dell'Uomo, devesi disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospendere il presente giudizio.

P. Q. M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondatata questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 218 della legge 23 dicembre 2005 n. 266 per contrasto con l'art. 117, primo comma Costituzione e 6 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali.
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Roma, addi' 3 giugno 2008
Il Presidente: Senese

2 commenti:

Anonimo ha detto...

SOS mi potete spiegare in soldoni cosa dice questa sentenza, non ci capisco niente

Anonimo ha detto...

Il nuovo rinvio all’esame della Corte Costituzionale ed alla Corte di Giustizia Europea della norma in contestazione permette di chiedere ai giudici di merito dei procedimenti ancora aperti, in qualunque grado di giudizio si trovino, analogo rinvio a dette Corti o comunque la sospensione del processo in attesa della pronuncia, secondo il libero apprezzamento dei legali che si occupano della vertenza.

E’ possibile anche, nei casi in cui non si sia formata prescrizione, portare davanti al giudice del lavoro nuove controversie, chiedendo il rinvio alla Corte Costituzionale del comma 218, basandosi sull’ordinanza 22260 od alla Corte di Giustizia Europea seguendo la strada del diritto comunitario.

Non è possibile, riaprire i giudizi ormai passati in giudicato, o perché non si è proposto appello o non si è resistito nei termini o perché la Cassazione si è definitivamente pronunciata.