mercoledì 18 febbraio 2009

DA ENZO LO VERSO

Personale ATA transitato dagli EE.LL. allo Stato - Azione legale n. 2 - Ricorso alla Corte Europea dei diritti dell'uomo
L’Ufficio Legale Centrale con la nota prot. n. 71 del 4/2 u.s. firmata dal Segretario Generale della CONFSAL, prof. Marco Paolo Nigi, ed inviata alle Segreterie Provinciali CONFSAL e SNALS e per conoscenza agli avvocati della rete legale CONFSAL, facendo seguito a quanto comunicato lo scorso 25 novembre ’08, riguardante il personale ATA transitato dagli EE.LL. allo Stato, ha precisato che per le sentenze pronunciate dalla Suprema Corte di Cassazione prima del 4/9/2008 (anche se depositate successivamente a tale data) e per le quali non sia ancora scaduto il termine di 6 mesi dal deposito delle stesse, è possibile proporre ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
L’adesione a tale ricorso è possibile anche per gli altri ricorrenti qualora fosse respinta la nuova questione d’incostituzionalità sollevata dalla Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22260 del 4/9/2008.
Le adesioni dovranno essere raccolte con la massima sollecitudine e, comunque, per coloro le cui decisioni sfavorevoli della Suprema Corte sono state depositate il 26/9/2008, dovranno pervenire entro il 20 febbraio 2009 all’Ufficio Legale Centrale, tenuto conto che il termine per proporre ricorso alla Corte Europea di diritti dell’uomo scadrà il 20 marzo 2009.

COMUNICATO DEL 25/11/2008
Personale ATA transitato dagli EE.LL. allo Stato
L’Ufficio Legale Centrale, il 24/11 u.s., con la nota prot. n. 713 a firma del Segretario Generale della CONFSAL, prof. Marco Paolo Nigi, inviata alle Segreterie Provinciali SNALS-Confsal, alle Segreterie Provinciali CONFSAL, alle Federazioni aderenti alla CONFSAL e, per conoscenza, agli avvocati della rete legale CONFSAL, ha comunicato che, in riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 234, depositata il 26.6.2007, che respingeva la questione di legittimità Costituzionale in relazione all’art. 1, comma 218 legge finanziaria 2006, la Suprema Corte, non ritenendo chiusa la questione, ha rilevato un ulteriore motivo di incostituzionalità dell’art. 1, comma 218 sopra citato, sottoponendo nuovamente la stessa all’esame della Corte Costituzionale. Nello specifico, evidenzia che:
“Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione ha rilevato che il potere legislativo, con l’emendamento di cui alla c.d. legge Finanziaria 2006 n. 266 art. 1, comma 218, si è intromesso con tale disposizione nell’amministrazione della giustizia introducendo norme in grado di influire sui processi in corso, conferendo dei vantaggi ad una delle parti in causa (lo Stato), così violando l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950 che stabilisce il diritto di ognuno ad un equo processo.
Si ribadisce, pertanto, alla luce della nuova pronuncia della Suprema Corte, quanto avevamo già suggerito e cioè che i giudizi in corso non vanno abbandonati ma occorrerà per le cause pendenti dinanzi al Tribunale o alle Corti d’Appello, sollevare la questione di incostituzionalità di cui all’ordinanza della Suprema Corte del 4.9.2008 n. 22260, chiedendo la sospensione ex art. 295 c.p.c. del processo sino alla definizione del giudizio di legittimità costituzionale.
Per le cause definite dinanzi la Corte di Cassazione prima del 4.9.2009 invece, si dovrà valutare la possibilità di proporre ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo assumendo la violazione dell’art. 6 della Convenzione citata che stabilisce il diritto di ognuno ad un giusto processo, violazione commessa dallo Stato italiano con l’introduzione di norme (Art. 1, comma 218 legge cit.) che avrebbero influito sui processi in corso. Ovviamente, tali ricorsi vanno proposti entro e non oltre 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza della Suprema Corte.”

04/09/2008
Ordinanza n. 22260/2008: Personale ATA trasferito dagli EE.LL.
CORTE DI CASSAZIONE
(Sezione Lavoro)
Ordinanza 04 settembre 2008, n. 22260
LAVORO PUBBLICO - PERSONALE DEGLI ENTI LOCALI TRASFERITO NEI RUOLI DEL PERSONALE ATA STATALE - QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE
La S.C., intervenendo nuovamente in tema di anzianità di servizio e trattamento retributivo del personale A.T.A., già dipendente di ente locale, passato alle dipendenze dell'amministrazione scolastica statale, ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale per lo scrutinio di costituzionalità dell’art. 1, comma 218, legge 23 dicembre 2005, n. 266, in relazione agli artt. 117, comma 1, Cost. e 6 Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (in particolare, con sentenza 29 luglio 2004 Scordino c. Governo italiano).
Ritenuto in fatto
N.P., con ricorso al Tribunale di Venezia del 27.3.2003 ha chiesto, nei confronti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (denominazione attuale, secondo l'organizzazione del Governo disegnata dall'art. 1 d.l. 16 maggio 2008, n. 85), di accertare che, quale appartenente al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (denominato A.T.A.), già dipendente di ente locale e passato alle dipendenze dell'amministrazione scolastica statale ai sensi dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, aveva diritto al riconoscimento integrale dell'anzianità di servizio maturata al tempo del trasferimento del rapporto di lavoro, con la condanna dell'amministrazione statale al pagamento delle conseguenti differenze retributive dal 1° gennaio 2000, oltre interessi e rivalutazione monetaria.
Il giudice adito, con la sentenza di cui si domanda la cassazione, pronunciata all'esito del procedimento previsto dall'art. 64 d.l.gs. 30 marzo 2001, n. 165, ha accertato «l'invalidità e la conseguente inefficacia, per contrasto con quanto stabilito dal combinato disposto dell'art. 8, commi 2 e 3, della legge 124/1999, della disposizione contenuta nell'art. 3, comma 1, dell'accordo Aran-Rappresentanti delle Organizzazioni e confederazioni Sindacali Telata 20.7.2000 recepito nel D.M. 5.4.2001».
A giudizio del Tribunale, la previsione legislativa, secondo cui a detto personale è riconosciuta ai fini giuridici ed economici l'anzianità maturata, obbligava l'amministrazione statale ad applicare, dal 1° gennaio 2000, il c.c.n.l. del comparto scuola al personale trasferito tenendo conto di tutta l'anzianità maturata alle dipendenze dell'ente locale, cosicché non era conforme al dettato della fonte primaria l'attuazione datane (mediante accordo collettivo recepito in decreto interministeriale) con il collocamento del detto personale nella fascia stipendiale corrispondente alla retribuzione in godimento al 1° dicembre 1999 (ed. "maturato economico") e non in quella corrispondente all'effettiva anzianità di servizio.
Il ricorso per cassazione dell'amministrazione, proposto ai sensi dell'art. 64, comma 3, d.lgs. n. 165/2001, è articolato in due motivi; resiste con controricorso N.P..
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell'art. 378 c.p.c.
Considerato in diritto
1. I due motivi di ricorso, concernenti entrambi l'unica questione controversa, denunciano, violazione dell'art. 8 L. n. 124/1999 e vizio di motivazione, sostenendo che il risultato dell'interpretazione accolta dalla decisione impugnata si traduceva nel riconoscere un aumento della retribuzione per effetto del mutamento del soggetto datore di lavoro e dell'applicazione di un c.c.n.l. (comparto scuola) che dava rilievo all'anzianità di servizio ai fini stipendiali (diversamente dal contratto del comparto enti locali), mentre il legislatore aveva inteso unicamente garantire la conservazione delle posizioni acquisite, escludendo l'assunzione di oneri economici maggiori di quelli già gravanti sugli enti locali. Si afferma, inoltre, che la legge aveva espresso un principio, circa il riconoscimento dell'anzianità, necessitante di essere specificato dalla normazione secondaria, di cui si contemplava l'emanazione, e il decreto ministeriale, di recepimento dell'accordo stipulato tra l'Aran e le organizzazioni sindacali, aveva legittimamente disciplinato il sistema di allineamento degli istituti retributivi del comparto enti locali a quelli del comparto scuola, riconoscendo l'anzianità pregressa ai fini dell'inquadramento secondo il sistema del maturato economico. Si aggiunge, infine, con argomentazione svolta in via logicamente subordinata, che l'accordo sindacale 20 luglio 2000, relativo al sistema di inquadramento del personale A.T.A. secondo il criterio del maturato economico, aveva natura di vero e proprio contratto collettivo nazionale di lavoro - come desumibile anche dalle disposizioni contenute nel c.c.n.l. 8 marzo 2002 - ed era perciò abilitato a derogare anche a norme di legge, ai sensi dell'art. 2, comma 2, secondo periodo, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165.
Nella memoria, depositata in prossimità dell'udienza, la ricorrente Amministrazione invoca la sopravvenuta interpretazione autentica, della disposizione della quale si denuncia l'errata interpretazione, ad opera dell'art. 1 comma 218 della legge 23.12.2005 n. 266.
2. Tanto premesso, la Corte osserva che, effettivamente, l'art. 1/218 L. n. 266/2005, appena citato, dispone: " Il comma 2 dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale è inquadrato, nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all'atto del trasferimento, con l'attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianità nonché da eventuali indennità ove spettanti, previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell'inquadramento. L'eventuale differenza tra l'importo della posizione stipendiale di inquadramento ed il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposta ad personam e considerata utile, previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale".
La struttura formale della norma appena riportata la qualifica effettivamente come norma d'interpretazione autentica, della quale possiede i requisiti essenziali, riscrivendo una regola destinata ad operare in termini generali per le controversie in corso come per quelle future L'anzidetto comma 218, infatti, manifesta espressamente l'intento di precisare e chiarire la portata della norma interpretata e si limita ad intervenire, con effetti retroattivi, soltanto su quei suoi profili applicativi che avevano originato un contenzioso cui peraltro questa Corte, nella funzione sua propria, sembrava avviata a dare una risposta passabilmente univoca (v. infra). Né pare contestabile che il contenuto normativo della disposizione corrisponda- astrattamente, e non importa qui stabilire con quale grado di persuasività- ad uno dei possibili significati ascrivibili alla norma interpretata, posto che, a fronte di una lettura del sintagma "anzianità giuridica ed economica" di cui al comma 2 dell'art. 8 L. n. 124 del 1999 coestensiva rispetto al significato letterale dei termini ivi utilizzati, il legislatore del 2005 ha optato per una interpretazione restrittiva .
3. Dalle considerazioni sopra esposte discende che questa corte dovrebbe fare applicazione, nella presente causa, dello ius superveniens, rappresentato dal ricordato comma 218, e, in forza di esso, accogliere il ricorso modificando le conclusioni cui- nell'attribuzione di senso alla disposizione del secondo comma dell'art. 8 L. n. 124/1999- era pervenuta, statuendo- sia pure con percorsi argomentativi diversi- che la garanzia del riconoscimento ai fini giuridici, oltreché economici, dell'anzianità maturata presso gli enti locali, in favore dei dipendenti coinvolti nel passaggio dai ruoli di tali enti in quelli del personale statale, in quanto apprestata dalla legge, non potesse essere ridotta, in forza di norme di rango inferiore, alla sola garanzia del riconoscimento economico dell'anzianità, e risolversi nell'attribuzione al dipendente del ed. maturato economico, così come disposto nel decreto interministeriale 5 aprile 2001 conformemente ai contenuti dell'Accordo 20 luglio 2000 fra l'ARAN e le OO.SS. ( v., tra le tante, cass. nn. 3224/2005, 3356/2005, 4722/2005, 18652/2005, 18829/2005 ). Si tratterebbe di un revirement, esplicitamente fondato sull'intervenuta norma interpretativa, cui questa corte peraltro ha già messo capo - in applicazione dell'art. 1/218 più volte richiamato - con le sentente nn. 25482/07, 511/08, 677/08.
Peraltro, la controricorrente, nelle memorie depositate prima dell'udienza, deduce, tra le altre difese, una questione di legittimità costituzionale della norma interpretativa da applicare, perché - a suo giudizio - tale norma violerebbe l'obbligo internazionale derivante all'Italia dall'art. 6/1 della Convenzione europea per la protezione dei diritti dell'uomo (di seguito, CEDU), sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955 n. 848.
Trattasi di questione senz'alcun dubbio rilevante nel presente giudizio , perché investe la norma di legge della quale dovrebbe farsi applicazione per la decisione del ricorso, non apparendo in contrario configurabile una questione pregiudiziale, ai sensi dell'art. 234 del trattato CE, per stabilire ( come pure richiesto dalla difesa controricorrente) se la fattispecie in esame sia riconducibile alla direttiva 77/187 Cee, il che comporterebbe per il giudice nazionale l'obbligo di disapplicare la norma interpretativa in ipotesi confliggente con la direttiva. Infatti, la vicenda del trasferimento, in base alla L. n. 124 del 1999, del personale degli enti locali nei ruoli del personale Ata (amministrativo, tecnico, ausiliario) dello Stato non è riconducibile al campo di applicazione delle direttive comunitarie in materia di trasferimento d'azienda (direttiva 77/187/Cee, modificata dalla direttiva 98/50/Ce), giacché, anche in ragione dei principi desumibili dall'interpretazione di dette direttive da parte della giurisprudenza della Corte di giustizia (sent. 26 settembre 2000, in C-175/99; sent. 25 gennaio 2001, in C-172/99; sent. 24 gennaio 2002, in C-51/00), essa non si è concretata nella assegnazione, preesistente al passaggio di personale, di una attività unitariamente considerata, di competenza di un determinato soggetto pubblico, ad altro soggetto: ipotesi che configura il conferimento o il trasferimento di attività cui l'art. 34 del d.lgs. n. 29 del 1993, e successive modificazioni, riconnette, nell'ambito del rapporto di lavoro pubblico, l'applicazione dell'art. 2112 cc. Ne consegue che l'art. 1, comma 218, L. n. 266 del 2005, interpretando autenticamente l'art. 8, comma 2, L. n. 124 del 1999, nel senso che, relativamente alla vicenda del trasferimento del suddetto personale Ata, gli effetti dell'anzianità giuridica sono limitati a quelli che essa abbia eventualmente già prodotto nel precedente rapporto, non può porsi in contrasto con il diritto comunitario innanzi richiamato, in quanto disposizione che, appunto, regola una fattispecie estranea al suo campo applicativo. Sì che, conclusivamente, non v'è luogo a formulare il dubbio che dovrebbe essere oggetto di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, comma 3, del trattato Ue.( sul punto v., diffusamente, cass. n. 677/08 cit., in particolare punti 14-30)
4. L'accertata rilevanza della questione, ne impone lo scrutinio per stabilire se la stessa possa ritenersi "manifestamente infondata" (art. 1 L. cost. n. 1/1948). Per vero, un tale scrutinio è stato già effettuato da questa Corte (v., in particolare, cass. n. 677/08 cit.) che ha concluso nel senso della manifesta infondatezza della questione. E tuttavia il dovere di fedeltà ai precedenti non dispensa questa stessa corte dal procedervi anche nella presente causa, non solo e non tanto in ragione di profili o argomenti nuovi addotti dalla parte ma soprattutto perché la nomofìlachia si atteggia in maniera molto diversa a seconda che la Corte sia chiamata a pronunciarsi sull'esatta osservanza della legge, fornendo l'interpretazione delle norme sottoposte al suo esame, ovvero a giudicare manifestamente infondato il dubbio di legittimità costituzionale afferente ad una di tali norme. Nel primo caso, infatti, si tratta di attribuire un significato alla disposizione di legge con carattere di, sia pure tendenziale (arg. ex aliis dall'art. 374 comma 2 epe ), stabilità; nel secondo, per contro, si tratta di ritenere o di escludere come manifestamente infondato soltanto un dubbio; formula, quest'ultima, che fonda per il giudice ,anche e soprattutto di ultima istanza, il dovere di sollevare la questione di costituzionalità, tutte le volte in cui- essendo impossibile attribuire alla disposizione scrutinata un significato che ne escluda il possibile contrasto con i precetti costituzionali- per la sussistenza di un siffatto contrasto residui un non implausibile argomento, ancorché di peso minore rispetto agli argomenti che depongono in senso contrario. E ciò perché, in uno Stato costituzionale di diritto, la certezza del diritto - che è l'obiettivo cui tende la nomofilachia - è, innanzitutto, certezza che il diritto vivente sia conforme a Costituzione.
Tanto precisato, giova ricordare che la questione proposta a questa corte è, come accennato nel paragrafo che precede, se il più volte citato art. 1 comma 218 della L. n. 266/2005 contrasti con l'art. 117/1 Cost. per violazione dell'obbligo internazionale assunto dall'Italia con la sottoscrizione e ratifica della CEDU, il cui articolo 6 comma primo, nel prescrivere il diritto di ogni persona ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente e imparziale, imporrebbe al potere legislativo di non intromettersi nell'amministrazione della giustizia allo scopo d'influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie. L'art. 6/1 della CEDU, così come interpretato con specifico riferimento al profilo qui evocato dalla Corte europea di Strasburgo, viene in tal modo a costituire la " fonte interposta" che fornisce concretezza e contenuto al parametro costituzionale invocato del rispetto degli obblighi internazionali ( corte cost. n. 348/2007 , in particolare punti 4.5 e 4.6 ).
Il giudizio di manifesta infondatezza della questione è stato fondato, dalla cit. Cass. n. 677/2008, sulla sentenza della corte europea di Strasburgo in causa S. c. Italia n.36813/1997, i cui paragrafi 78/80 sono stati assunti siccome esplicativi della fonte interposta, rappresentata dall'art. 6/1 della CEDU nella parte in cui prescrive le condizioni di un giusto processo. Dai citati paragrafi della sentenza S., cass. n. 677/2008 ha ricostruito la fonte interposta in esame siccome prescrittiva, per gli Stati membri della CEDU, di un obbligo di non "esercitare un'ingerenza normativa finalizzata ad ottenere una determinata soluzione delle controversie in corso", salvo che " l'intervento retroattivo sia giustificato da motivi imperiosi di carattere generale". Sulla base di tale premessa, la stessa corte ha escluso che l'art. 1/218 L. n. 266/2005 violi l'obbligo come sopra definito poiché " non vi é.. alcun elemento che induca a ritenere la disposizione nazionale come esclusivamente (grassetto dell'e.) diretta ad influire sulla soluzione delle controversie in corso)", dovendosi piuttosto ritenere che "..il legislatore abbia dovuto governare una operazione di riassetto organizzativo di ampia portata, sicché sono palesemente ravvisabili, nel caso di specie, le pressanti ragioni di interesse generale che abilitano...anche interventi retroattivi".
Questa, nelle sue linee essenziali, la ratio decidendi che - unitamente alla considerazione delle differenze correnti tra la presente fattispecie e quella oggetto della sentenza S. ed al rilievo che la CEDU non assicura in materia civile l'immutabilità della regola di giudizio per tutti i procedimenti in corso - ha condotto la corte a ritenere manifestamente infondato il dubbio che la disposizione in esame violi l'obbligo dello Stato italiano di rispettare l'art. 6 CEDU come interpretato dalla corte di Strasburgo.
5. Il Collegio ritiene, al contrario, che la suesposta ratio decidendi e le considerazioni ulteriori che la sorreggono - pur somministrando argomenti in favore di una determinata soluzione del dubbio - non valgano tuttavia e ritenerlo manifestamente infondato. Ciò per le seguenti considerazioni:
a) è ben vero che la sentenza S. ed i precedenti in essa richiamati (v. in particolare sentenza A. e altri c. G., n. 39374/98 par. 20-21) affermano che il divieto di leggi retroattive riguarda l'ingerenza, del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, finalizzata ad una determinata soluzione delle controversie in corso ("..dans le but d'influer sur le dénouement judiciaire du litige" ), ma è altrettanto vero che la suindicata giurisprudenza non richiede anche che la disposizione retroattiva sia "esclusivamente diretta ad influire sulla soluzione delle controversie in corso" né che tale scopo venga in qualche modo enunciato, poiché nei suddetti precedenti la conclusione che l'intervento legislativo volta a volta esaminato costituisse una non consentita ingerenza del potere legislativo sull'esercizio della giurisdizione viene raggiunta sulla scorta, da una parte, dell'esame del risultato che, nel procedimento in relazione al quale viene lamentata l'ingerenza, ha avuto l'applicazione della disposizione denunciata e, dall'altra, della considerazione che lo Stato legislatore era, al tempo stesso, parte di quel procedimento e la disposizione interpretativa assegnava alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per lo Stato- parte ; il che sembrerebbe costituire la ragione che induce a ritenere l'intervento come dettato dalla non consentita finalità. Ad analoghe conclusioni conduce anche la giurisprudenza più recente della corte europea ( v., per tutte, sentenza SCM Scanner de l'Ouest et autres c. France, 21.6. 2007, ricorso n. 12106/03)
b) Entrambe le suddette situazioni ricorrono nel caso in esame, mentre- d'altro canto- il notevole contenzioso sviluppatosi subito dopo l'entrata in vigore della normativa oggetto d'interpretazione autentica, e, in relazione al quale, questa corte ha già avuto modo di pronunciarsi più volte, nonché il rilevante numero di ricorsi pendenti aventi ad oggetto proprio l'interpretazione di detta normativa, lasciano ragionevolmente ritenere che la definizione di tale contenzioso nel senso, favorevole allo Stato amministrazione, imposto dalla norma interpretativa, rientrasse certo tra le finalità perseguite dal legislatore con l'introduzione di quest'ultima norma.
c) Per altro verso, l'esigenza per il legislatore di " governare una operazione di riassetto organizzativo", da un lato, non sembra integrare le " imperiose ragioni d'interesse generale", richieste dalla corte europea come condizione per superare il divieto d'ingerenza; per altro lato, di quell'esigenza- e tanto meno di altre ragioni, imperiose o meno- non è traccia alcuna nel procedimento legislativo che ha messo capo al ricordato comma 218 dell'art. 1 L. n. 266/2005; che anzi tale comma, che non figura nell'originario disegno di legge presentato dal governo, risulta inserito dalla relatrice S. nella seduta della 5a Commissione (emendamento 1.4547 -comma 149-quater), rimane invariato per decadenza del subemendamento C. 1.4547/10, e viene votato nei successivi passaggi, caratterizzati dal voto di fiducia al Governo, senz'alcuna indicazione delle ragioni, imperiose o meno, che lo sorreggono.
d) Né infine, ad escludere la violazione dell'art. 6/1 CEDU da parte della disposizione in esame, può valere il rilievo che la Corte di giustizia europea abbia sempre riaffermata la libertà del legislatore di emanare norme interpretative che incidano, in materia civile, su diritti attribuiti dalle leggi in vigore, perché qui non è in discussione questa libertà ma piuttosto quella d'intervenire, a mezzo di leggi retroattive, sui giudizi pendenti dei quali sia parte lo Stato amministrazione. Com'è stato lucidamente precisato da questa stessa Corte nell'ordinanza n. 402/2006, il senso della giurisprudenza della corte europea in materia è che " la parità delle parti dinanzi al giudice implica la necessità che il potere legislativo non si intrometta nell'amministrazione della giustizia allo scopo d'influire sulla risoluzione della controversia o di una determinata categoria di controversie". Scopo, si è già precisato supra, che la stessa corte europea sembra desumere dall'incidenza oggettiva che la norma denunciata ha sull'esito di controversie pendenti e dalla qualità di parte dello Stato-amministrazione in tali controversie. Né- è appena il caso di rilevare- la retroattività coessenziale alle norme d'interpretazione autentica è d'ostacolo al rispetto del vincolo in questione, poiché un tale vincolo esige soltanto che il legislatore escluda dall'ambito di applicazione della norma interpretativa ( o, più in generale, della norma dichiarata retroattiva) i processi in corso alla data di entrata in vigore della norma, secondo uno schema che il legislatore nazionale ben conosce ed ha più volte praticato ( emblematico, al riguardo, l'art. 6 comma 2 D.L. 29.3.1991 n. 103). Scarsamente comprensibile, poi, appare l'obiezione che un tale modulo provocherebbe un proliferare d'iniziative giudiziarie volto a rendere immodificabile una situazione di vantaggio in ipotesi assicurata dalle norme vigenti: obiezione che sembra postulare uno Stato-legislatore che, in rapporti di cui sia parte come Stato-amministrazione, accordi una situazione di vantaggio per non adempiere l'obbligazione che su di esso Stato-amministrazione ne deriva ( il proliferare d'iniziative giudiziarie presuppone appunto l'inadempimento), riservandosi poi d'intervenire con legge interpretativa.
e) Infine, è appena il caso di rilevare che la manifesta infondatezza del dubbio di cui sopra non potrebbe esser fondata sulla sentenza n. 234/2007 della corte costituzionale e /o sulla successiva ordinanza n. 400 della stessa corte, che hanno rispettivamente dichiarato non fondata e manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1/218 legge n. 266/2005 con riferimento a parametri di costituzionalità diversi da quello qui evocato.
6. Pertanto, ritenuta - in virtù delle considerazioni sopra svolte - rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 218 della legge n. 266/2005 per violazione dell'art. 117 Cost. in relazione all'art. 6 CEDU come interpretato dalla corte europea dei diritti dell'Uomo, devesi disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospendere il presente giudizio.
P.Q.M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1 comma 218 della legge 23.12.2005 n. 266 per contrasto con l'art. 117 comma primo Costituzione e 6 .Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali.
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del presente giudizio.
Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Roma, 3 giugno 2008
Il Presidente
Salvatore Senese
Depositato in Cancelleria 4 SET. 2008
Il Cancelliere C1
Giovanni Cantelmo

1 commento:

Anonimo ha detto...

QUALCUNO CHE HA GIA RESTITUITO I SOLDI O LI STA RESTITUENDO LO STATO VUOLE ANCHE GLI INTERESSI?

SONO PREOCCUPATO GRAZIE